Incidente in azienda tessile: morire sul lavoro

Questo il volto di Luana, una giovanissima ragazza (22 anni) impiegata in un’azienda tessile che, a causa di un infortunio sul lavoro mortale non potrà più vivere la vita che voleva (link sito ANSA: clicca qui).

Come consulenti per la sicurezza sul lavoro ci sentiamo profondamente rammaricati e ci chiediamo come sia possibile morire sul lavoro ancora oggi. Ci siamo interrogati se scrivere questo articolo oppure lasciar perdere. Riflettendo abbiamo però deciso di riportare la notizia per fare una riflessione che speriamo possa far capire, ad aziende e lavoratori, l’importanza di adeguamenti strutturali e comportamenti corretti.

Per dovere di cronaca ricordiamo che un infortunio mortale fa scattare d’ufficio (quindi in automatico) tutte le verifiche da parte della Procura, per tale motivo i tecnici dell’ASL hanno posto sotto sequestro l’attrezzatura sulla quale è avvenuto l’infortunio: un orditoio. Per darvi un’idea l’orditoio è un’attrezzatura utilizzata nelle aziende tessili sulle quali vengono montate le rocche (delle specie di “gomitoli” di filo). Questi fili vengono poi avvolti su dei cilindri per formare l’ordito, che poi verrà portato nei reparti di tessitura per il proseguo delle lavorazioni.

Orditoio Industriale: foto fonte Wikipedia

Ovviamente noi non sappiamo nello specifico la tipologia di attrezzatura utilizzata in azienda, avendolo solo appreso in maniera generica dagli articoli di cronaca, ne conosciamo le possibili carenze strutturali presenti sulla macchina, per cui le nostre considerazioni rimangono frutto di analisi strettamente personali maturate in anni di consulenza aziendale. A tal proposito riproponiamo anche un vecchio video proprio sul rischio da impigliamento:

Problema 1: ci sono ancora (troppe) macchine non adeguatamente protette

Qualsiasi consulente per la sicurezza non potrà smentire quanto stiamo per scrivere; ovvero che tantissime macchine ancora oggi sono carenti in termini di protezioni. Dal tornio “che però usiamo poco”, fino all’attrezzatura di lavoro quotidiana più grande e complessa. Questa non è una percezione, ma una situazione oggettiva che quotidianamente si riscontra in molte aziende.

Problema 2: la cultura, ovvero “il modo in cui facciamo le cose qui da anni”.

Definire la parola “cultura” è sempre molto complicato. A noi, che piace parlare “terra terra”, piace definirla come: “il modo in cui si fanno le cose qui da noi”, ovvero i tipi di comportamenti che adottiamo nell’organizzazione aziendale. Capita a tutti di percepire una cultura differente (non necessariamente legata solo alla sicurezza), in funzione dell’azienda in cui si lavora. Questo perché i comportamenti variano da un luogo di lavoro all’altro. Bene, evidentemente in certe realtà la cultura che regna non è quella dell’ordine e della prevenzione, ma esattamente l’opposto. In un clima così i comportamenti sbagliati prenderanno sempre il sopravvento rispetto a quelli giusti.

Problema 3: i comportamenti

Biaogna esigere (a livello contrattuale e normativo) una maggiore responsabilità anche da parte dei lavoratori e dei loro comportamenti, che spesso anche se abnormi vengono declinati alludendo di fatto la responsabilità quasi sempre al datore di lavoro. Questo non crea responsabilità e nemmeno un cambio di cultura (intesa come il paragrafo sopra).

La soluzione dove sta?

La soluzione sarà sempre un approccio multidisciplinare fatto non solo di formazione (vista molto spesso come la risoluzione di tutti i problemi) ma soprattutto di politiche volte a garantire supporto tecnico e premi di risultato. Nel primo caso è innegabile che, da un punto di vista meramente fiscale, la trafila burocratica per ottenere uno straccio di contributo (Bando Isi Inail) rappresenta una non motivazione all’evoluzione tecnologica. Su questo invece si dovrebbe dare la possibilità alle aziende di compensare fiscalmente gli interventi di adeguamento con una sorta di Superbonus. Sarebbe fondamentale riuscire anche a erogare feedback positivi per le aziende virtuose, senza ancora una volta mettere di mezzo mille carte e domande (Ot23 senza tanti giri di parole), per riuscire a premiare le attività sicure, mentre invece sappiamo che il feedback avviene quasi sempre a seguito dei comportamenti sbagliati: sbagli? Paghi…fai giusto? Non succede nulla.

E quindi?

Bisogna cambiare approccio. Siamo ben convinti che la formazione rappresenti un momento importante, ma non va ad agire sulle conseguenze che sostengono alcuni comportamenti aziendali. Si tratta quindi di un momento più o meno piacevole (raramente abbiamo potuto notare una didattica di qualità che si avvicini anche lontanamente a questa: clicca qui), che spesso però non modifica alcun comportamento. Ovviamente criticare è ben più facile che proporre, per questo avevamo anche abbozzato una lista di interventi: clicca qui.

Prevenzione sul lavoro: proprietà aziendale

Incredibile se pensiamo che, solo alcuni giorni fa, il 28 aprile, si celebrava la giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro e a distanza di pochissimi giorni dobbiamo fare i conti con questo terribile evento. Questo ci ricorda che morire sul lavoro è ancora possibile e drammaticamente attuale. Facciamo per lo meno si che questo evento possa essere un monito per far capire che la sicurezza sul lavoro DEVE essere una delle priorità aziendali.

Condoglianze a famiglia ed amici.