I 27 ex dirigenti dell’Ilva condannati in primo grado a complessivi 189 anni di carcere per disastro ambientale e omicidio colposo, con pene comprese tra quattro e nove anni e mezzo di reclusione, si sono resi responsabili di una “consapevole e lucida omissione” perpetrata per decenni, che ha portato alla morte degli operai affetti da mesotelioma pleurico, contratto in seguito all’esposizione alla fibra killer presente all’interno dello stabilimento di Taranto, di proprietà pubblica fino al 1995 e poi ceduto alla famiglia Riva.


“Le scelte aziendali improntate al più rigoroso risparmio”. Il magistrato bolla dunque come “discutibilissima” la politica aziendale tenuta dall’Ilva, le cui scelte in materia di lotta all’amianto sono risultate essere “improntate al più rigoroso risparmio, ulteriormente dimostrato dalla scarsa competenza e professionalità delle ditte a cui veniva commissionata la bonifica”. Di qui la responsabilità degli ex vertici per gli omicidi colposi, cui si somma la condanna di alcuni imputati anche per il disastro ambientale che ha coinvolto i 300mila abitanti di Taranto e dei Comuni limitrofi.

Fonte: Inail